Risolto il pagamento del ticket di ingresso, il fuoristrada
viene sistemato in assetto safari con il tetto aperto
per consentire l'avvistamento degli animali e per permettermi
di fotografare in completa libertà i grandi spazi
che si aprono davanti ai miei occhi. Acquisto un cappello
a falde larghe per una decina di Euro e si riparte.
Ora il profumo dell'Africa mi riempie le narici.
E' un odore selvatico, di resina e fronde... e l'orizzonte
riempie il cuore e la mente, senza lasciarmi nemmeno
il tempo di capire.
E' questa l'Africa dunque? E' questa la prima
terra che l'uomo ha potuto ammirare, retto sulle sue
sole gambe? Questa terra rossa che si estende verso
l'infinito in un susseguirsi di alberi e arbusti, dove
la vita che si nasconde è la stessa di allora,
forte e palpitante d'instinti primordiali.
L'intero tragitto da Bachuma Gate al
Galdessa Camp
è destinato al safari fotografico dello Tsavo
Est .
L'arrivo al campo è previsto in tarda mattinata
ma, prima di arrivarci, ci sono ancora mille tracce
da seguire e mille occhi da incrociare.
La prima meta si chiama Aruba Lake, ma non fatevi
ingannare dal nome, in realtà è poco più
di una pozza ormai asiutta, eppure ogni zona umida di
questa terra desolata è fonte primaria di vita.
E allora gli scatti si susseguono rapidi, giraffe, zebre,
struzzi, impala e gazzelle di ogni tipo, tutte pregne
di questo rosso diffuso che colora ogni cosa in contrasto
netto col cielo scuro.
E' qui che incontro per la prima volta gli elefanti
rossi dello Tsavo Est
e ne resto subito affascinato. Ho bramato questo incontro
per mesi e finalmente realizzo questo sogno. Eccoli...
si muovono maestosamente tra le acacie della savana,
giocano con la polvere, mi sfidano, forti della loro
imponente mole. I piccoli son tenuti in mezzo al branco,
abbracciati dalle proboscidi delle enormi femmine che
li sfiorano... li accarezzano con una dolcezza infinita.
Mi guardano, sì mi guardano, o forse semplicemente
mi annusano, scuotono il possente capo, allargano le
grandi orecchie triangolari e uno sbuffo di polvere
rossa si alza leggera nell'aria.
Mi guardano, sì mi guardano, o forse semplicemente
mi annusano, scuotono il possente capo, allargano le
grandi orecchie triangolari e uno sbuffo di polvere
rossa si alza leggera nell'aria. Ora però il
viaggio deve continuare, un ultimo sguardo e mi allontano.
Una volta raggiunto il Galdessa Camp ,
effettuo il check-in e mi sistemo in tenda, giusto in
tempo per il pranzo nella struttura centrale, godendomi
la splendida vista del fiume Galana. Alle mie
spalle, sullo sfondo, lo Yatta Plateau, che con
i suoi 190 km di lunghezza rappresenta la più
grande superficie lavica del mondo ed è stato
creato dall'attività del vulcano Ol Doinyo
Sabuk.
Il pranzo è semplice, frugale, servito sul grande
tavolo di legno che troneggia nella sala da pranzo.
Un elefante attraversa il campo, prendo la macchina
fotografica e cerco di avvicinarmi, provocando subito
una sua reazione. Ecco... bisogna subito imparare che
qui non siamo in un parco faunistico e gli animali non
amano essere avvicinati dagli uomini. L'enorme bestia
si ferma col capo contro il tetto in makuti, io mi ritraggo
e faccio tesoro della prima lezione appresa in terra
d'Africa.
Nel primo pomeriggio, dopo un breve relax, mi rimetto
in jeep per continuare il safari fotografico nel Parco.
La prima tappa sono le Lugards Falls ,
con relativa passeggiata a piedi, sotto lo sguardo attento
dei KWS Rangers, tra le rocce laviche e basaltiche formate
dalle rapide del fiume Galana. E' il secondo
corso d'acqua più lungo del Kenya dopo
il Tana. Ha una lunghezza complessiva di 390
km e un bacino di 70.000 km². La parte alta del
fiume viene chiamata Athi, mentre quella bassa, Galana
o Sabaki.
L'Athi attraversa le pianure di Kapote e la città
di Athi River, quindi svolta verso nord-est e si unisce
al fiume Nairobi. Nei pressi di Thika forma il sistema
delle Fourteen Falls ("quattordici cascate")
e poi prende la direzione sud-sud-est ai piedi delle
pareti dell'altopiano Yatta, che chiude il suo bacino
a est. Escludendo i numerosi piccoli affluenti nella
parte alta del fiume, il principale tributario è
lo Tsavo, che lo raggiunge a est del Kilimanjaro.
In questa parte del suo corso, il fiume attraversa interamente
il Parco Nazionale dello Tsavo Est.
E' qui che mi rendo davvero conto di cosa sia l'Africa.
In questo ribollio di acqua marrone che scivola turbinosamente
tra le rocce e si incanala in uno stretto percorso interrato.
Più indietro il fiume è vivo, maledettamente
pericoloso, e tra le sue anse si nascondono coccodrilli,
ippopotami e chissà quante altre fauci a caccia
tra le rive. Ecco, qui mi ritrovo a contatto con la
dura e affascinante realtà di un mondo in cui
si corre per non essere sbranati e si insegue per sopravvivere.
L'ippopotamo, per quanto apparentemente buffo e bonario,
costituisce un pericolo mortale. Questo enorme bestione
del peso di tre tonnellate non è un pacifico
erbivoro con cui giocare, ma la causa del maggior numero
di vittime umane in Africa. Gli adulti hanno da 36 a
40 denti, i canini sono a crescita continua e possono
raggiungere i 50 centimetri di lunghezza per 3 chilogrammi
di peso. Aguzzi e taglienti, spuntano verso l'esterno
come zanne, costituendo un'arma terribile. A causa della
loro gigantesca mole e della forza sbalorditiva, gli
ippopotami sono considerati come alcuni tra i più
pericolosi animali della terra e, per la loro territorialità,
sono addirittura più temibili dei leoni. I coccodrilli
invece sono un vero pericolo solamente se ci si avvicina
troppo alle acque torbide in cui vivono perché,
pur essendo capaci di scatti estremamente rapidi, sulla
terraferma non sono in grado di muoversi velocemente.
Questi potenti animali comparvero circa 90 milioni di
anni fa e da allora continuano a popolare la terra grazie
alle loro caratteristiche, fisiche e comportamentali,
che sono rimaste pressoché inalterate nel tempo,
tanto da poterli considerare dei veri e propri fossili
viventi.
Al tramonto l'appuntamento è in un punto rialzato
dove ammirare la fine del giorno sul Galana River, gustando
un aperitivo prima di cena. Ritorno al campo che è
già buio. In tenda il Masai ha già riempito
l'otre di acqua calda e l'ha sollevato sopra la doccia
scavata nella pietra.
Mi spiegano che, dopo il calar del sole, non è
consigliabile lasciare la tenda senza scorta perchè
gli ippopotami escono dal fiume e vengono a brucare
nel campo tendato. La sala da pranzo è situata
ad una cinquantina di metri dalla mia tenda che è
l'ultima della fila, quelle più appartata perché
parte del Private Camp che dispone anche di una zona
comune separata dagli altri ospiti.
Nonostante la mia avversione alle regole, aspetto l'arrivo
del Masai che mi accompagna, ma nel frattempo la notte
ha già steso il suo mantello stellato sopra ogni
cosa. Si cena a lume di candela in un'atmosfera densa
di emozione. Il fiume scorre lento ed il silenzio irreale
è rotto solo dallo sciacquio degli ippopotami
che si avvicinano a riva.
Ora la stanchezza del viaggio in aereo comincia a farsi
sentire e la differenza di due ore col fuso orario italiano
mi confonde un po'. Quando finalmente richiudo la cerniera
della tenda alle mie spalle, mi rendo conto di essere
davvero da solo. L'Africa è fuori, separata soltando
da una flebile zanzariera, viva e pulsante di vita,
pronta ad avvolgermi coi mille rumori della notte.
Alzo di colpo le coperte, allarmato da uno strano rigonfiamento
al centro del letto, e mi ritrovo a sorridere davanti
alla borsa dell'acqua calda. Non fa freddo, non fa caldo...
tutto sembra perfetto, persino troppo perfetto rispetto
a come l'avevo immaginato.
Per un attimo penso a quale animale si sta muovendo
là fuori, sento che si trascina lungo la parete
della tenda, percepisco i passi e degli strani versi.
Che verso fa l'ippopotamo? A dir la verità è
simile a un ruggito, mentre invece il suo ansimare sembra
il suono di clakson. Non ha un nome specifico... anche
se in inglese l'hippototamus snorting. Ecco spero che
vada a parcheggiarsi da qualche altra parte perché
io ho 24 ore di viaggio sulle spalle e 7 di jeep.
Dopo questa considerazione credo di essermi addormentato
di botto, una specie di svenimento improvviso e i sogni...
i sogni son fatti di fotogrammi colorati di rosso, verde
e azzurro... aspettando che la luce del giorno risvegli
ancora una volta questa terra d'Africa.
Abel Wakaam